Il mutismo selettivo sta ad indicare l’incapacità di un soggetto di riuscire ad interloquire e ad esprimersi verbalmente in normali contesti del vivere quotidiano, e la contestuale capacità di esprimersi invece in altri contesti o situazioni.
Questo disturbo che coinvolge per lo più soggetti in età infantile, fu scoperto per la prima volta nel 1877 da Kussmaul che lo definì sotto il nome di “aphasia voluntaria” (proprio per riferirsi a quei pazienti che decidevano volontariamente quando parlare e quando non parlare); lo stesso concetto venne poi fatto proprio nel 1934 da Tramer che ne mutò il nome di mutismo elettivo. In seguito il disturbo entrò a far parte del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), e messo nel campo dei disturbi d’ansia e di fobia sociale sotto la sigla di mutismo selettivo.
Cause e sintomi del mutismo selettivo
Il mutismo selettivo colpisce con maggior prevalenza i bambini di età compresa tra i 3 e i 5 anni, ma non è affatto escluso che non possa comparire anche in età scolare (tra i 6 e i 10 anni) o nell’adolescenza (11 – 13 anni). Solo in rarissimi casi (l’1% del totale) si hanno segnali di mutismo selettivo negli adulti. Parliamo di un disturbo transitorio che non può non esser legato ad una condizione di disagio psicologico dovuta a uno o più fattori: in molti casi il disturbo nasce come conseguenza di un carattere intrinseco del bambino, mentre in altri può venir fuori per via di un particolare contesto familiare.
Ma quali sono i sintomi che dovrebbero dar segno di un mutismo selettivo all’orizzonte? Per quanto possano essere confusi con atteggiamenti bene o male normali, o con sintomi tipici di tanti altri disturbi, i sintomi prevalenti del mutismo selettivo sono essenzialmente i seguenti: nella maggior parte dei casi le femminucce mostrano problemi nel parlare sia in ambito scolastico sia in presenza di estranei, ma il sintomo principale che colpisce indipendentemente dai generi è dato dall’incapacità di esprimersi verbalmente in un contesto che sia al di fuori di quello familiare.
Tra gli altri sintomi tipici del mutismo selettivo si riscontrano casi di questo genere:
- Il bambino che soffre di mutismo selettivo lo si distingue da un bambino semplicemente timido perchè non riesce mai ad esprimersi in contesti che sono per lui motivo di ansia;
- Le persone e i contesti in cui il bimbo riesce ad esprimersi sono circoscritti;
- Il bambino vorrebbe anche parlare ma lamenta di sentire come “un nodo alla gola” quando tenta di farlo in contesti in cui non si sente a suo agio;
- Il bambino che viene interpellato a scuola o da un qualunque estraneo tende a mostrare uno sguardo assente e un comportamento impacciato, a toccarsi nervosamente i capelli, a girare la testa dal lato opposto rispetto a quello in cui si trova l’interlocutore e vorrebbe ben più volentieri nascondersi dagli sguardi “indiscreti”;
- Il bambino si esprime spesso a gesti, soprattutto annuendo con la testa, indicando con le mani o provando a farsi capire mediante dei gesti;
- Il bambino mostra una continua rigidità degli arti superiori, delle spalle curve in avanti, una testa leggermente proiettata al suolo e uno sguardo fisso e perso.
Tra gli altri sintomi tipici del mutismo selettivo non è raro riscontrare un morboso attaccamento a uno o ad entrambi i genitori, un cenno di ansia da separazione, e casi di isolamento, rabbia improvvisa, disturbi del sonno e dell’alimentazione, e casi frequenti di enuresi notturna (altrimenti nota come “fare la pipì a letto”).
Diagnosi del mutismo selettivo: le due fasi più importanti
La diagnosi di questo disturbo viene di solito effettuata in ritardo, su per giù verso gli 8 anni di età del bimbo poiché prima la si confonde sempre con una normale timidezza. Per questa ragione è importante, se non quasi fondamentale, far sì che la diagnosi venga eseguita correttamente e in tempi brevi: in questo modo c’è la possibilità di mettere in piedi una strategia terapeutica atta ad evitare peggioramenti di vario genere, l’isolamento sociale e magari anche il protrarsi del disturbo in età adulta. La diagnosi viene pertanto effettuata da un team di esperti specializzati in branche quali la neuropsichiatria infantile, la pediatria e così via, e se in un primo momento prevede che venga effettuata una diagnosi differenziale, in una seconda fase prevede invece che ci sia una diagnosi basata sui criteri del DSM.
1° Fase: Diagnosi Differenziale – Per quel che riguarda la diagnosi differenziale è necessario accertarsi che il bambino non soffra di “semplici” disturbi del linguaggio come la balbuzie, bisogna poi escludere che il soggetto non sia interessato da una leggera forma di autismo, capire se il problema sia legato alla lingua parlata (soprattutto dinanzi a bambini stranieri che potrebbero molto semplicemente non comprendere ciò che gli viene detto), e dare per escluse patologie psichiatriche quali possono essere il disturbo psicotico, il ritardo mentale e la schizofrenia.
2° Fase: Criteri diagnostici del DSM – Per quanto concerne invece i criteri diagnostici inseriti nel DSM abbiamo l’incapacità da parte del bambino di parlare in contesti sociali di vario genere, la capacità di esprimersi in maniera corretta solo in ambienti a lui molto vicini e familiari, il prolungamento del disturbo per oltre un mese di tempo e l’assenza di disturbi psichiatrici di vario genere e di disturbi del linguaggio.