La tripofobia, nota anche come la paura dei buchi, è un disturbo psicologico che colpisce chi, alla vista di oggetti punteggiati da piccoli fori ravvicinati, prova nausea, disgusto e un senso di repulsione.
Per quanto possa sembrare curioso, questo problema è molto diffuso. I soggetti affetti evitano spesso situazioni o oggetti che scatenano tali reazioni, e talvolta, il disturbo può interferire, in modo significativo, nella propria vita quotidiana.
Vediamo cos’è, quali sono i sintomi e cosa fare per superare la paura dei buchi.
Cos’è la tripofobia?
La tripofobia è caratterizzata dalla paura o repulsione verso pattern costituiti da piccoli fori o protuberanze ravvicinate. Questi possono essere presenti in oggetti naturali o artificiali, come alveari, formaggi con buchi, fiori di loto non ancora sbocciati, spugne da bagno, ecc.
La vista di questi oggetti provoca una forte reazione emotiva in chi ha paura dei buchi, che va dal disgusto alla repulsione, fino a veri e propri attacchi di panico.
Inoltre, nonostante sia comunemente chiamata “fobia”, la tripofobia non è ufficialmente riconosciuta come tale nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM5).
Sintomi della tripofobia
Chi ha la fobia dei buchi può provare una serie di sintomi, di entità più o meno intensa, sia a livello emotivo che fisico.
Oltre alla nausea, chi ha paura dei buchi prova:
- Forte disgusto
- Ansia
- Attacchi di panico.
Tra i sintomi fisici più comuni ci sono: prurito, mal di testa, tachicardia, sudorazione e sensazione di svenimento. Nei casi più estremi, la tripofobia, può portare le persone ad evitare determinati oggetti o situazioni, per non dover vivere quel forte disagio.
Ad esempio, una persona tripofobica può anche smettere di mangiare cibi con i buchi o i puntini, come il formaggio, le fragole, il cioccolato soffiato, ecc.
Quali sono le cause della tripobia?
Le cause esatte della tripofobia sono ancora sconosciute e oggetto di studio ma, nel corso degli anni, sono state avanzate alcune ipotesi sulle possibili origini del disturbo.
Una teoria ipotizza che la fobia dei buchi derivi da un meccanismo di difesa evolutivo, in cui i nostri antenati avrebbero sviluppato una reazione di paura e repulsione verso oggetti che potrebbero rappresentare un pericolo, come animali velenosi o malattie infettive.
Un’altra possibile causa potrebbe essere legata alla percezione visiva. Le immagini che scatenano la tripofobia condividono spesso uno spettro elettromagnetico specifico, caratterizzato da un’energia ad alto contrasto alle frequenze medie e basse.
Questa caratteristica visiva può provocare una reazione di disgusto anche nelle persone senza tripofobia, ma quelle affette da questo disturbo, sarebbero particolarmente sensibili a tali immagini.
Nel 2017 è stato anche condotto uno studio che ha visto i partecipanti coinvolti associare le immagini ad agenti patogeni infettivi della pelle.
Alla vista dei puntini, le persone hanno iniziato a provare una sensazione di forte prurito, che confermava come la reazione fosse legata a un meccanismo di difesa.
Diagnosi e trattamento della tripofobia
Non esiste un test diagnostico specifico per la tripofobia, ma se i sintomi persistono per un lungo periodo di tempo e influenzano significativamente la qualità di vita di una persona, bisogna consultare uno psicologo o uno psicoterapeuta.
Il trattamento varia in base alla persona e all’intensità del problema e dei sintomi. Tra gli approcci utilizzati per curare la fobia dei buchi, la più diffusa è la terapia cognitivo-comportamentale, che mira a modificare i pensieri negativi e ridurre l’ansia associata alla paura. Inoltre, sembrano rivelarsi utili alcune tecniche di rilassamento per gestire l’ansia.
La cosa più importante è evitare di provare a trattare da soli il disturbo, e affidarsi a un professionista esperto con cui iniziare un lavoro di de-sensibilizzazione.