Una gravidanza desiderata e cercata è sempre una bella notizia: estasi, euforia, felicità e gratitudine sono i sentimenti che alimentano uno stato d’animo che porta mamma e papà a fare sogni e progetti, ad arredare la casa in base alle esigenze del bambino che sta arrivando e a sognare una vita perfetta. Quello a cui non si pensa mai è che il bebè che sta arrivando presto diventerà un bambino e, subito dopo, un adolescente con i suoi problemi, le sue esigenze, le sue prerogative, il suo carattere e le sue idee. Tutti elementi che saranno il terreno fertile per scontri e litigi, intensi o meno intensi a cui nessuno può o sa prepararsi.
Come ci suggerisce un articolo, il rapporto genitori e figli ha alla base la differenza di ruolo che spesso viene ignorata dai genitori che smettono di ricordarsi di essere stati figli e si concentrano sui doveri e sul benessere materiale dei propri figli. L’eterna diatriba trai sì e i no, tra dialogo amichevole o posizione più autorevole sono alla base degli eterni interrogativi che tutte le mamme e tutti i papà si pongono.
Un rapporto tanto esclusivo e unico come quello tra un figlio e un genitore non è regolamentato da nessuna normativa, non ci sono schemi o regole, tutto dovrebbe essere lasciato al buon senso, ma talvolta anche quello non basta.
Una volta arrivata la tanto temuta adolescenza, infatti, il bambino o la bambina dolci e affettuosi a cui i genitori erano abituati, all’improvviso si trasformano in piccoli nemici che dichiarano loro guerra tutti i giorni. La loro personalità comincia ad affermarsi, rivendicano diritti e autonomia. Cosa fare a questo punto? Tanti genitori si mettono in discussione e riesaminano il loro comportamento per capire se, modificandone alcuni aspetti, possono riuscire a trovare una via per dialogare, capire e farsi capire da quel figlio che sembra parlare una lingua straniera.
Ma imporre un dialogo che porterebbe inevitabilmente allo scontro, non sempre è la soluzione giusta. E allora, in un momento di crisi, è bene lasciare da parte l’oggetto dell’incomprensione e rivolgere l’attenzione su altri argomenti o accadimenti, creando così un clima di complicità che attenua la tensione e si iscrive in un contesto che favorisce la vicinanza e può essere propedeutico, in un secondo momento, alla soluzione del conflitto.
Mettere infatti le distanze tra adulti e adolescenti, pensare, da parte dei genitori, di essere in grado di capire e risolvere i problemi dei propri figli e che, al contrario, questi non siano in capaci di comprendere i loro, esacerba la distanza generazionale che a nulla serve se non ad aumentare il numero e il peso delle discussioni.
Nel 1924 la Società delle Nazioni redige la Dichiarazione dei diritti del fanciullo che tutela i bambini e, tra gli altri, ne sancisce il diritto di crescere in modo sano sul piano fisico, intellettuale, morale e spirituale. A tal proposito, spesso i genitori sono concentrati ad assicurare il benessere materiale e fisico che vede i bambini diventare adolescenti e adulti sani. Ma l’aspetto spirituale e intellettuale, talvolta tenuto in considerazione solo superficialmente, è quello che accende le polemiche e che sensibilizza l’attenzione che deve essere diretta al tipo di rapporto che si può creare tra genitori e figli.
È un lavoro in itinere, in costante evoluzione e che dipende da molteplici fattori: l’armonia familiare, il contesto scolastico e il tessuto sociale, ma è soprattutto un lavoro di scoperta e di riscoperta che arricchisce entrambe le parti.
La prima soluzione al problema è capirne alcuni aspetti. La ribellione di un figlio è la sua dichiarazione di indipendenza, il suo desiderio di crescere e di realizzarsi come persona, affrancandosi dal grembo materno. Da un lato, questo aspetto della crescita di un figlio fa paura e se la paura prende il sopravvento, non farà che alimentare scontri e litigi. Se la ribellione, invece, viene intesa come desiderio sano di crescita, il genitore capisce di dover accompagnare il figlio da lontano, confermando la propria vicinanza affettiva che, né da un lato né dall’altro, viene messa in discussione, e di dover aspettare insieme a lui l’arrivo ad ogni meta. I figli a volte cadranno, a volte avranno successo ma sempre nella piena consapevolezza della presenza costante e discreta del genitore che, in questa situazione, non ha un ruolo passivo, ma continua, oltre che a confermare amore e sicurezza emotiva, ad impartire regole e limiti da cui la felicità dei propri figli non può prescindere perché è anche attraverso questi diktat che il bene, seppur dichiarato e naturale, deve essere dimostrato.
I ruoli non devono mai essere confusi ma calibrati a seconda dell’età e delle esigenze dei ragazzi. Ad esempio, imporre ai figli scelte non del tutto da loro condivise può scatenare una reazione negativa e creare un problema di comunicazione. La scelta di uno sport o la passione per uno strumento o una forma d’arte devono appartenere esclusivamente ai figli; il compito del genitore è saper riconoscere le loro attitudini e sostenerli. Suggerire o, peggio, imporre uno sport o addirittura la scelta di un percorso di studi che non rientrano nei desideri dei figli è il primo passo verso un contrasto che rischia di diventare cronico e perenne.
I piani di confronto, è vero, sono due e devono inevitabilmente restare ben distinti a causa di fattori quali l’età e il ruolo. La scelta vincente, allora, è quella di creare una sorta di basculante che avvicini i due piani nel momento del dialogo e li riporti al proprio posto una volta trovato un punto di incontro, in un perfetto equilibrio affettivo che non deve mai essere messo in discussione.
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